foto: cogitoetvolo.it

La maggior parte di noi desidera vivere relazioni d’amore lunghe intense e soddisfacenti.

La triste realtà è che molti di noi si trovano a vivere relazioni in cui episodi dolorosi e costanti battibecchi si susseguono.

La domanda che tendiamo a porci è: “Perché è così difficile essere felici in amore?
In questo articolo vorrei aiutare a trovare una risposta chi si pone questa domanda.

Perché è così difficile essere felici in amore?

 

Una delle ipotesi più influenti, anche se non universalmente accettata, deriva dalla psicoanalisi ed è che la grande avventura delle relazioni inizia nella nostra prima infanzia.

E’stato il Dott. John Bowlby, psicoanalista inglese, a tracciare per primo il collegamento tra i conflitti che abbiamo nelle relazioni adulte significative con le primissime esperienze di relazione con la nostra madre, o con chi si è occupato di noi.

Per tracciare questo collegamento è partito dalla sua esperienza personale:

Nasce nel 1907 e appartiene alla classe alto borghese inglese.

Il piccolo Bowlby vede raramente i suoi genitori e viene cresciuto da una Tata che però lascia la casa quando lui ha quattro anni, per lui è una perdita importante.
A sette anni viene mandato in collegio per ricevere un’educazione adeguata al suo stato sociale, ma lui patisce e subisce questo nuovo allontanamento da casa.
Nonostante ciò, diventa un brillante medico e un ricercatore illuminato.

Nel 1950, consulente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, pubblica una ricerca dal titolo “Cure materne e salute mentale” in cui fornisce una opinione contrastante alla convinzione comune e consolidata che: ”offrire cure amorevoli e dedicare attenzione ai bambini non genera adulti inadeguati e dipendenti. Anzi, le cure materne favoriscono lo sviluppo della personalità  così come la vitamina D aiuta a rendere le ossa forti”.
Questo suo report segna l’inizio di una nuova epoca in cui nuove ricerche aprirono la possibilità di rivedere tutte le teorie pedagogiche e le prassi ospedaliere pediatriche.

 

Le conseguenze delle cure nella primissima infanzia

 

Nel 1959 scrive “Ansia da separazione” in cui racconta nel dettaglio le conseguenze dell’inadeguatezza  delle cure, protratta nel tempo, nella primissima e prima infanzia.

Descrive il comportamento dei bambini separati dai propri genitori; se la separazione dura troppo a lungo i bambini chiedono con irruenza attenzioni e manifestazioni di amore ma allo stesso tempo maturano la convinzione che le cose belle possono scomparire da un momento all’altro.

Questi bambini crescono con il bisogno di continue rassicurazioni e se queste non arrivano in fretta e in abbondanza si arrabbiano molto.

Crescono instabili: si perdono d’animo facilmente poi si rassicurano ma poi si disperano nuovamente per poi ritrovare conforto. Questa è la dinamica emotiva messa a fuoco dal Dott. Bowlby rispetto all’attaccamento ansioso, un saliscendi emotivo costante e faticoso.

Il grado di lontananza dai genitori può portare ad altri tipi di attaccamento, il bambino può provare un forte senso di  vulnerabilità e diventare, come li definisce Bowlby “evitanti”: si chiudono nel loro mondo per proteggersi e diventano distanti e freddi. Hanno anche loro disperato bisogno di affetto, tenerezza e vicinanza ma la ricerca di queste cose li mette in allarme e quindi la evitano. Non possono vivere altri tradimenti affettivi.

Il focus della ricerca di Bowlby era : “cosa accade al bambino se incontra troppe difficoltà nel creare un attaccamento sicuro

 

Le conseguenze possono durare tutta la vita

 

La scoperta è che le conseguenze non si limitano a manifestarsi esclusivamente a 8 12 o 17 anni ma durano tutta la vita.

Il nostro stile di attaccamento in età adulta è decisamente influenzato dalle nostre prime esperienze di attaccamento. E’ come se avessimo già la trama scritta delle nostre relazioni prima ancora che inizino.

In linea con il pensiero di Bowlby e sul tipo di legame che si crea tra genitore e bambino, ci sono tre stili di attaccamento che possiamo generare da adulti quando ci uniamo in una coppia:

1) Attaccamento sicuro:

in questo tipo di coppia i problemi possono essere risolti e affrontati, i momenti di debolezza e fatica non butteranno giù entrambi ma uno sarà di supporto all’altro. Se uno dei due partner  apparirà annoiato, un po’ giù, o preso dai suoi pensieri, l’altro non andrà in crisi perché non si sente al centro delle sue attenzioni e sarà in grado di essere indipendente emotivamente per il tempo necessario e inoltre sarà più attendo e gentile verso il partner per essere solidale in questo suo momento critico personale.

2) Attaccamento ansioso:

La caratteristica principale è l’essere “appiccicosi”. Messaggi e chiamate costanti per sapere dov’é e cosa fa l’altro come se volesse essere sempre sicuri che il partner non è scappato via lontano, lontano.
Le coppie unite da un attaccamento ansioso sono sempre alla ricerca di attenzioni, i partner potrebbero essere molto focalizzati sui propri bisogni e poco su quelli del partner.
Spesso in queste coppie scorre la rabbia perché la posta in gioco, avere fiducia nei sentimenti altrui,  è davvero alta. Ogni piccola variazione tono, una parola detta con poca attenzione o una svista può far suonare il campanello del pericolo imminente. Potrebbe anche causare l’imminente fine della relazione con litigi e sfoghi di rabbia conseguenti.
“Se non mi rispondi al telefono o ai messaggi è chiaro che non mi ami abbastanza e stai progettando di lasciarmi, probabilmente hai un’amante, quindi ti lascio!”

3) Attaccamento evitante:

In questi casi si tende a evitare ogni tipo di compromesso, affrontare una situazione, arrabbiarsi o manifestare affetto tra i partner. L’istinto è quello di restare isolati, non condividere, e manifestare una grande indipendenza come se non si avesse mai bisogno dell’altro. Tendenzialmente le spose evitanti trovano mariti dall’attaccamento ansioso, ma è vero anche il contrario Una combinazione speso esplosiva. Gli evitanti non danno supporto agli ansiosi e gli ansiosi invadono costantemente gli spazi individuali degli evitanti. Boom!

 

La teoria di Bowlby torna davvero utile quando c’è una inspiegabile e reiterata sofferenza individuale nel creare relazioni di coppia e quando c’è sofferenza nella coppia.

Questa teoria ci invita ad essere più attenti alle nostre reazioni e a quelle altrui quando qualcosa ci di indispone e ci fa salire la rabbia.
In realtà nessuno di noi è esclusivamente e totalmente caratterizzato da un attaccamento sicuro, ansioso o evitante tendiamo a manifestare queste caratteristiche quando c’è qualcosa nella relazione con l’altro che ci mette in allarme.

Ora che conosciamo questa teoria possiamo iniziare a considerare l’apparente freddezza e indifferenza episodica del nostro partner non come una mancanza nostra ma come campanello che torna a suonare e ci ricorda che forse la stessa esperienza l’abbiamo fatta tanti anni fa e ci ha fatto spaventare molto.

Questo tipo di prospettiva apre una nuova visione di sé e la possibilità di conoscerci meglio.

In psicoterapia possiamo modificare la nostra percezione di assenza e nostro “non essere mai abbastanza” per l’altro andando a recuperare i ricordi e le storie che queste sensazioni ci raccontano e curare così ferite che ancora oggi tornano ad aprirsi davanti ad esperienze di coppia insoddisfacenti ma che talvolta da questa non riusciamo proprio a separarci.

E’ compito nostro nell’età adulta scrollarci di dosso i vecchi apprendimenti che ci procurano sofferenze relazionali, i nostri genitori hanno fatto del loro meglio, generalmente è così, e non possiamo incolparli per tutta la nostra vita per le loro mancanze.
Prendersi la responsabilità di noi stessi e cambiare è nel nostro potere.

 

 

Ho trovato ispirazione per scrivere questo articolo in questo video: