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Cedere o perpetuare? Mollare la presa oppure andare avanti a qualsiasi costo? 

Ultimamente mi sono appassionata alla lettura del libro di Andre Agassi “Open”, mi piace leggere le autobiografie, così come mi piace ascoltare i racconti reali e intimi delle persone che attraverso la narrazione di sé trovano i fili conduttori della loro esistenza.

Il libro di Agassi è così, snocciola tutto il suo percorso e la sua folle ambivalenza tra l’essere un grandissimo campione del tennis e l’odio per questo sport: la sua incapacità di lasciare il tennis e di decidere di fare qualcosa nella sua vita che davvero gli piaccia. L’unica cosa che ha “scelto” di fare, mentre diventava prima un professionista e poi un campione, è stato essere un ribelle, di affermare se stesso attraverso un’abbigliamento punk in partita, non rispettando la gerarchia, non frequentando la scuola dell’obbligo, non rispettare alcuna regola, sentendosi sempre un disadattato e, allo stesso tempo, vincendo tutto ma proprio tutto ciò che poteva essere vinto nel tennis.

Un vero paradosso: “mi ribello a te (mondo del tennis) ma ti conquisto”

In seguito si rende conto anche lui di non essere stato un vero ribelle, non si è mai sentito punk, ma ha trovato quella come unica strada per sopravvivere psichicamente all’annientamento che deriva dal mettere a disposizione la propria vita, la propria energia vitale, la propria salute fisica per realizzare il sogno di qualcun altro. Nel suo caso un padre con grande bisogno di riscatto verso la vita, dal punto di vista sociale, economico e sportivo.
E se lui, come i suoi fratelli più grandi, si fosse ribellato perdendo nonostante l’innato talento?

Magari la nostra vita non è come quella vissuta da Agassi, non abbiamo conquistato prestigiose cime a causa, nonostante e grazie ad un padre tiranno, però è possibile che ci siamo trovati in una gabbia paradossale in cui abbiamo odiato qualcosa contribuendo a portarla avanti.
Talvolta vera ribellione deriva dal cedere, mollare la presa, non perpetuare il braccio di ferro che dopo lungo tempo genera solo stallo e sofferenza. Ad un primo sguardo cedere sembra sinonimo di fallire, in realtà in questi casi è il primo passo verso se stessi.
Ci tengo a sottolineare che la mia non è una critica nei confronti della vita di Andre Agassi, ma l’intenzione di utilizzare il suo racconto per riflettere sulle mie esperienze: dirette e indirette.

Mi vengono in mente:
– coppie che in nome di un amore disperato restano uniti facendosi del male e senza riuscire a lasciarsi.
– donne, o uomini, che in situazioni di violenza fisica o verbale restano nell’umiliazione e non riescono sentirsi degni di un altro ruolo fuori da quel tipo di relazione.
– figlie che rinunciano a mangiare fino a scomparire per dimostrare la forza vitale che le contraddistingue dai modelli a cui non vogliono assomigliare.

Situazioni di quotidiana realtà, per ognuno la propria, bracci di ferro che se mollati porterebbero prima ad una grande caduta e poi ad altre realtà.

Ci sono situazioni di “braccio di ferro” nella nostra vita? Se mollassimo improvvisamente la presa, l’altro forse non cadrebbe a terra stranito? Non molliamo proprio per evitare che l’altro cada, crediamo non sia in grado di rialzarsi? Oppure non molliamo perché “che cosa sarà di me se smetto di dedicare tutte le mie energie a contrastare quelle dell’altro?” ?