Golden cosmic Flower of Life with stars on black background, a spiritual symbol and Sacred Geometry since ancient times.La parola Pace mi mette in soggezione, è qualcosa di sacro ed enorme che talvolta non mi sento all’altezza di pronunciare. Ci sono però altri termini che invoco spesso per la mia vita e con chi si rivolge a me professionalmente, coppie e singoli: evoluzione del conflitto, non violenza, ecologia della relazione, rispetto.
In questo articolo vorrei parlare del contributo che ognuno di noi può portare a costruire la Pace attraverso l’evoluzione del conflitto, sperando di non cadere nella retorica.

 

“Voi non siete malvagi. Io non lo sono. Eppure nel mondo esiste il male. Da dove proviene, allora?”
Eva Pierrakos

Il mio contributo è duplice, da un lato consiste nel mettere a disposizione degli altri ciò che ho capito, intuito e studiato, dall’altro la mia esistenza e la lotta quotidiana per ridurre al minimo le “forze negative” che mi abitano e che se non le guardo invadono e punteggiano i miei eventi.
Ovviamente in questo articolo parlo del mettere a disposizione, come indicato sopra. 😉

Vorrei parlare di pace nel nostro mondo interno ovvero la pace dentro ognuno di noi.
Vorrei proporre una breve analisi della pace interiore e soprattutto fornire una visione pratica, proporzionata al mezzo di divulgazione che sto usando.

Da bambina a scuola, quando si litigava coi compagni, la maestra diceva “fate la pace”.
Non so voi ma per me non era affatto facile dover stringere la mano a chi mi aveva fatto un torto. Col tempo ho capito che quella sensazione di rifiuto è un’ottima metafora del costruire la pace, che certo non si sarebbe magicamente materializzata stringendosi la mano (e guardandosi in cagnesco).

Col senno di poi ho capito che la pace dovevo farla prima dentro di me, tra la ME che desiderava restare amica e la ME offesa che non voleva passare da mollacciona, la ME che aveva già subito altre ingiustizie, la ME che voleva essere più forte e dominate, la ME che non voleva sentirsi dire quando era ora di “fare pace”, la ME che voleva chiudere lì la questione e tornare a giocare e l’altra che invece no, “non la passerà liscia”.

Una coro disarmonico di ME, ogni voce a turno sembrava avere la ragione.

Con il tempo e la paglia maturano anche le nespole.
Ho capito che se non si da voce ad ogni istanza (ME, voce interna, sintomo fisico o emotivo) che ha un ruolo nel conflitto interno e non si cerca di coglierne le ragioni, queste non faranno che esprimersi con strategie sempre più invasive. E’ solo mettendosi in ascolto che si dà importanza, capita anche nel nostro quotidiano. “Sono qui, ti ascolto.” significa ” Tu esisti e meriti di essere guardato”. Alcune volte questo basta per riportare pace, altre volte no.

Ho capito che i conflitti, a scatole cinesi, iniziano così ed è da lì che emergono le modalità di evoluzione o cristallizzazione del conflitto.

Proviamo ad aprire queste scatole cinesi e immaginiamo che dall’incapacità di risolvere un conflitto interno non sia possibile risolvere il conflitto con chi è altro da noi: partner, familiari, vicini di casa, colleghi. Quartiere, paese, città, regione. Nord sud, stati confinanti. Cultura, etnia, credo. Continente e continente.
Ecco perchè vorrei parlare dei conflitti dentro di noi e della pace.

Ho capito che per costruire la pace non bisogna avere la pazienza di Giobbe perchè la rassegnazione è tutt’altro.

Il grande inganno è che pensiamo che stando zitti e sopportandoo siamo in pace, in realtà è solo attraverso l’individuazione di ciò che ci fa stare male che possiamo trovare la forza di affrontare, trasformare quindi evolvere. Una volta individuato il “tarloi”, visto, guardato, osservato, studiato in tutte le sue forme e misure non potremo più tollerare di averlo e sarà solo affrontando il conflitto, piuttosto che conviverci, che aumenteremo le probabilità trovare pace.

La pace arriva solo se si affronta il “male” e attraverso un uso evolutivo del conflitto che sconfiggiamo la sofferenza.
Il conflitto si evolve quando trasforma la situazione bloccata e sofferente in risorsa trasformativa e vantaggiosa per entrambe le parti in causa. Impossibile?

Culturalmente siamo abituati a concepire il conflitto in due modi: 1) “pacifista naif” prevede l’evitamento del conflitto perchè si aspetta in conseguenza solo distruzione 2) alla “Rambo”, la forza e la violenza annienteranno l’avversario quindi non perde l’occasione di manifestare la forza superiore.

Il conflitto è materia fondante dell’essere umano e partecipa attivamente alle relazioni tra esseri umani. Quindi metterlo a tacere è il primo errore da riconoscere.
Per questo sarebbe ideale cogliere il conflitto come segnalazione di un disagio e ricerca di un nuovo equilibrio migliorativo, così come fenomeno naturale della crescita personale e relazionale.

Il passaggio obbligatorio per realizzare questo cambio di prospettiva è dare ascolto alle motivazioni e comprendere profondamente le ragioni e i vissuti che sostengono le posizioni e le opinioni opposte. La mediazione, nasce proprio per questo. I mediatori (familiari, coniugali, culturali, politici…) studiano ed esercitano l’arte di rendere il conflitto un momento trasformativo per entrambe le polarità del conflitto, allontanandosi dalla bipolarità del vinto e del vincitore.
E’ necessario quindi una terza polarità che crei uno spazio neutro per fornire ai litiganti possibilità di espressione e di dignitoso ascolto.

Se facciamo nostra questa nuova visione del conflitto, e riconosciamo che il nostro disagio ha bisogno di dignitoso ascolto potremmo scoprire che i disagi e i conflitti ci stanno facendo da guida verso la nostra realizzazione creando effettivamente scenari più pacifici dei precedenti. Ricavarci degli spazi di rispettoso ascolto è l’inizio di questo ricco lavoro personale.

 

“L’uomo possiede per sua natura un’immensa capacità distruttiva… Oggi più che mai, è importante che gli esseri umani non sottovalutino questo pericolo che si nasconde dentro di loro. Esso è, sfortunatamente, fin troppo reale; questo è il motivo per cui la psicologia deve insistere sulla realtà del male e deve respingere quelle definizioni che lo riguardano come insignificante, o addirittura inesistente.”
C. G. Jung

Riferimenti bibliografici:
"Il male e come trasformarlo" Eva Pierrakos
 "Lotta e cooperazione" Pasquale Busso